“Ma la vita, si
capisce! Come potrei sopravvivere senza la mia borsa?”
Mi pare già di
sentirle, schiere di fashion victim
indignate per l’assurdità dell’intimazione. E, in effetti, quale donna
rimarrebbe indifferente se le fosse sottratta questa estensione artificiale del
proprio corpo?
Compagna,
ricettacolo di segreti, complice, status symbol, objet d’art, accessorio indispensabile: la borsa è questo e molto
altro, come spiega Robert Anderson nel libro
Cinquanta borse che hanno cambiato il
mondo, edito in Italia da De Agostini e tradotto da Maddalena Togliani.
Un piacevolissimo volumetto di poco più di un centinaio di pagine, pubblicato
in collaborazione con il Design Museum di Londra, che illustra in ordine
cronologico le it bag più celebri del
globo ma anche i tipi di borsa che hanno davvero rivoluzionato la vita di
milioni di donne.
Copertina del libro Cinquanta borse che hanno cambiato il mondo |
Tra le 50 icone si trovano
modelli intramontabili che non hanno bisogno di presentazioni, come la Kelly e la Birkin Hermès, la 2.55
di Chanel, la baguette di Fendi o la borsa nera in nylon di Prada. Ma anche modelli storici che hanno
profondamente influenzato la storia della moda e del costume, o
interessantissime curiosità che mostrano quanto il fashion tragga la sua linfa vitale dalle necessità sociali.
Le borse Birkin e Kelly di Hermès |
Tra i modelli
storici si annoverano forme senza tempo, come la bisaccia della fine dell’Ottocento, la borsa da medico dei primi del Novecento, la cartella da scolaro anni ’50, la shopper risalente agli anni ’60 o la messenger di fine anni ’80. Oppure modelli nati a seguito del boom
dei trasporti: sulla scia dei viaggi in diligenza o in treno a fine Ottocento è
stata creata la carpet bag, la sacca
da viaggio realizzata con scampoli di vecchi tappeti applicati su una struttura
in metallo; durane l’epoca d’oro dei lunghi viaggi internazionali su treni come
l’Orient Express viene creata da Louis Vuitton la steamer bag (1901) in tela e pelle dalla forma tozza e squadrata
che traeva ispirazione dai sacchi postali in uso in America.
La steamer bag firmata Louis Vuitton |
In fatto di curiosità,
invece, mi ha colpito la borsa per la
maschera antigas nata attorno al 1940. All’inizio della Seconda Guerra mondiale,
il governo britannico fornì a ogni cittadino una maschera antigas, distribuendole
in semplici scatole quadrate di cartone dotate di una lunga tracolla
regolabile. Per assecondare il gusto estetico delle signore dell’epoca, i
grandi magazzini furono invasi subito dopo da borsette del formato giusto per
accogliere questo accessorio da portare – purtroppo – sempre con sé.
Le borse per la maschera antigas in "voga" in Gran Bretagna attorno al 1940 |
Interessante anche l’evoluzione
ecologista dei sacchetti per fare la spesa, presenti anch’essi in questo libro
da leggere tutto d’un fiato. Dal self-opening
sack brevettato da Charles Stilwell nel 1883, il mitico sacchetto di carta con
pieghe laterali che stava in piedi da solo, che ha accompagnato generazioni di
massaie americane fino agli anni Settanta ed è rimasto un simbolo della spesa a
stelle e strisce negli anni del boom economico, passando per la busta di plastica con i manici che negli
anni Sessanta rappresentò un’invenzione geniale, dimostratasi però nel tempo
una seria minaccia per l’ambiente, fino alle moderne shopping bag a sfondo green,
come la “I’m not a plastic bag” in stoffa di Anya Hindmarch (2007) e la Home in
tela stampata di Hussein Chalayan (2009), autentici manifesti a favore dell’ambiente.
A sx, la Home bag di H. Chalayan e a dx la "I'm not a plastic bag" di A. Hindmarch |
Che si tratti di modelli
ispirati a guanti da baseball (la
Unique Bag Project di Issey Miyake), stivali
di gomma per la pioggia (la Bootbag di Saskia Marcotti) o labbra rosse e carnose (la clutch Lips
di Lulu Guinness), il legame tra borse e design, tra moda e vita reale è
indubbio. Anche nel linguaggio: lo sapevate che dall’inseparabile Ferragamo di Margaret Thatcher è nato
in inglese il verbo to handbag (letteralmente
“prendere a borsettate”), che significa “trattare con durezza” in onore della
Lady di ferro? O che la borsa da uomo, in circolazione dalla metà degli anni
Novanta, è chiamata murse, dalla
fusione dei termini inglesi man e purse?
Quindi forza, donne (e
non solo) di tutto il mondo, ora tocca a voi scegliere la borsa dei vostri
sogni! Io vi lascio con un piccolo gioiello: la Inro di Nathalie Hambro.
La borsa Inro di N. Hambro |
Sara Radaelli