Sulle orme del Tempo


Il tempo pare essere diventato un’ossessione: manca sempre e a tutti. Siamo costantemente alla ricerca di qualche minuto in più da dedicare al lavoro, alla famiglia, a noi stessi, e costantemente con un occhio rivolto alle lancette dell’orologio. Eppure, quest’anno, la crisi si fa sentire anche nel mondo dorato dell’orologeria elvetica di lusso. Avendo spesso sotto mano i dati del settore per questioni professionali, il paradosso salta all’occhio.

Non tutti possiamo permetterci di acquistare segnatempo da migliaia di euro, è vero, ma forse non potendo ritagliarci del tempo in più, cerchiamo di allontanare da noi lo strumento che più ci incalza quotidianamente e di cui sembra non si possa fare a meno, quello che da sempre cerca di controllare il tempo?

L’orologiaio (o, almeno, quelli che ho avuto la fortuna di conoscere) è quasi ossessionato dalla meticolosa ricerca della perfezione, del meccanismo ideale, in grado di sconfiggere attrito e forza di gravità, quasi che padroneggiando lo scandire del tempo lo si possa in qualche modo possedere, e persino fermare all’occasione (chi, tra gli appassionati della saga di Harry Potter, non ha mai desiderato di avere tra le mani il “giratempo” di Hermione?). Ma noi traduttori sappiamo che la perfezione non esiste, pur essendo perennemente attanagliati dalla stessa ricerca dell’impossibile: il testo ideale.

In questo, trovo svariate similitudini tra gli artigiani del tempo e quelli della parola, come amo definire la nostra professione. Ed è per questo che, nel giugno scorso, mi sono avventurata nei meandri della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano per visitare la mostra La conquista del Tempo, a cura della Fondation de la Haute Horlogerie, in collaborazione con la Fondazione Cologni. Nella suggestiva cornice della Sala Federiciana, all’ombra dei suoi innumerevoli volumi, erano state allestite venti teche dedicate alla storia dell’orologeria. Nella penombra e nella solennità del luogo, ho ripercorso le tappe fondamentali della misurazione del tempo, in un viaggio alla scoperta della tensione dell’uomo verso questa dimensione immateriale.

Quadrante solare in argento del XVIII secolo

 
Partendo da un quadrante solare in argento del XVIII secolo (foto sopra), si incontrano orologi da tasca e pendole, fino ad arrivare ai moderni orologi da polso, ai cronografi, ai tourbillon, persino all’orologio atomico. Vedere esposti questi gioielli di micromeccanica, che hanno scritto la storia dell’orologeria, è alquanto emozionante: in qualche centimetro si concentra una tecnologia via via più all’avanguardia, che raggiunge livelli di precisione al limite dell’impossibile. All’appello, tutti i nomi più prestigiosi, che digito sulla tastiera del mio computer quasi quotidianamente, tutti i modelli più leggendari, che si lasciano ammirare come dolciumi agognati da un bambino incollato alla vetrina di una pasticceria.

Per chi volesse saziarsi in materia, durante l’evento è stata presentata la versione italiana, edita da Marsilio Editori, del libro di Dominique Fléchon (storico della FHH) La conquista del tempo (titolo orig. La conquête du temps, traduzione di B. Carrara, L. Santi e L. Tasso), che ripercorre la storia della misurazione del tempo dalle origini ai giorni nostri analizzando il contesto che ha stimolato ogni nuova invenzione.

L’attuale vitalità dell’alta orologeria, definita ormai “tecnica e preziosa” per la compresenza sempre maggiore tra tecnologia e arte gioielleria (grazie anche alla riscoperta dei mestieri d’arte), e il coinvolgimento di figure professionali estranee in passato a questo universo (ai maestri orologiai si affiancano ingegneri, matematici, informatici, ricercatori in ambito aerospaziale, aeronautico e automobilistico) ci fa capire come il Tempo, quello con la T maiuscola, sia un mistero che affascina tutti e rimanga ancora oggi una dimensione tutta da afferrare, disperatamente.
 

Sara Radaelli



 

Foto tratte dalla Guida all’esposizione.